Sono stati presentati questa mattina i risultati del più ampio studio condotto sino ad oggi sul sequenziamento del virus SARS-CoV-2 in Lombardia. Con il sostegno di Fondazione Cariplo i ricercatori dell’Ospedale Niguarda di Milano e del Policlinico San Matteo di Pavia hanno analizzato le sequenze genomiche virali da circa 350 pazienti provenienti da aree diverse della regione, realizzando così una fotografia di quanto è accaduto dall’inizio dell’anno. «I dati raccolti mostrano inequivocabilmente che il virus è entrato in Lombardia prima di quel che si pensasse in origine e, soprattutto, lo ha fatto con assalti multipli e concentrici di ceppi virali diversi, in luoghi diversi ma in tempi molto vicini tra loro», ha spiegato il responsabile scientifico dello studio Carlo Federico Perno, già Direttore della Medicina di Laboratorio del Niguarda. Inoltre, ha proseguito Fausto Baldanti – Responsabile del Laboratorio di Virologia molecolare del San Matteo e docente di microbiologia all’Università di Pavia, «il virus ha caratteristiche genetiche molto più simili a quelli oggi presenti in Europa che non a quelli circolanti in Cina. L’ingresso quindi non è diretto dalla Cina ma mediato da una fase Europea. Quando è stato riscontrato il primo caso a Codogno, in una forma leggermente diversa, lo stesso era già presente nella zona nord (includente Alzano e Nembro)».
L’analisi comparativa dei genomi virali prelevati da tamponi raccolti dal 22 febbraio al 4 aprile 2020, fa risalire l’ingresso di SARS-CoV-2 in Lombardia verso la seconda metà di gennaio. Il dato è corroborato dalla valutazione della sieroprevalenza di anticorpi neutralizzanti contro il virus nei donatori di sangue della zona rossa di Lodi che, oltre che a consentire di stimare precisamente la diffusione dell’infezione, ha identificato cinque soggetti sieropositivi nel periodo 12-17 febbraio. E tenendo conto che gli anticorpi neutralizzanti si sviluppano circa tre-quattro settimane dopo l’infezione, questi dati dimostrano la presenza del virus a partire dalla seconda metà del mese di gennaio 2020.
Caratterizzando poi la variabilità virale riscontrata nel territorio e la distanza evolutiva rispetto ai virus circolanti nelle aree severamente colpite dalla pandemia, è stato possibile identificare due maggiori catene di trasmissione virale che sono circolate in due differenti aree della Lombardia, seppur con differenze minime (7 mutazioni nucleotidiche su un totale di circa 30.000 basi di genoma). Il primo ceppo si è diffuso principalmente nel nord della regione a partire dal 24 gennaio, e in particolare nella provincia di Bergamo, compresi i paesi di Alzano e Nembro. L’altro, più variabile, ha caratterizzato l’epidemia nel sud della Lombardia almeno a partire dal 27 gennaio, con Lodi e Cremona.
«Non è possibile escludere – concludono i ricercatori – che tale circolazione silente, multipla e simultanea di ceppi diversi, possa aver esacerbato la già elevatissima trasmissibilità del virus e aver creato così una vera tempesta virale in una regione così densamente popolata, come la Lombardia, rendendo difficili gli interventi di contenimento della diffusione stessa».
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