Quarantotto laboratori italiani, afferenti ad alcuni fra i più importanti centri di ricerca e cura del Paese, hanno deciso di unire le risorse per lo studio collaborativo “Progetto Sierologia COVID-19”, con l’obiettivo di valutare se la presenza di anticorpi anti SARS-CoV-2 protegge dalla reinfezione e per quanto tempo. Si tratta di un’informazione fondamentale per la ripresa delle attività lavorative e sociali, e la convivenza con il virus che ci aspetta nei prossimi mesi.
Il progetto si basa sul test sierologico sviluppato dall’Istituto Europeo di Oncologia e dall’Università di Pavia e messo a disposizione di tutti i laboratori di ricerca italiani. Un test che non richiede investimenti aggiuntivi in macchinari e materiali rispetto alle dotazioni normalmente presenti nei laboratori. Il test ha una sensibilità e specificità elevatissima e costi enormemente inferiori rispetto ai test commerciali.
«Dall’inizio della pandemia abbiamo capito che la mappatura della diffusione del contagio e la ricerca di una possibile immunità sono i pilastri per arginare il virus in attesa del vaccino – spiegano Pier Giuseppe Pelicci e Gioacchino Natoli, ricercatori del Dipartimento di Oncologia Sperimentale IEO e coordinatori del progetto – Per questo abbiamo iniziato sin da subito a lavorare su un test sierologico affidabile e realizzabile su larga scala. Insieme all’Università di Pavia abbiamo riprodotto e validato il test per la ricerca di anticorpi anti SARS-CoV-2 dell’Ospedale Mount Sinai di New York, già approvato dalla FDA per uso di emergenza interno all’ospedale, per farne un test “aperto”, non commerciale, economico, accessibile e facilmente eseguibile da tutti i laboratori di ricerca. Il test genererà quindi dati affidabili e confrontabili tra loro, all’interno di uno studio che ci dirà se il nostro organismo sviluppa una immunità contro SARS-CoV-2. Di fatto, fino a quando non sarà chiaro se gli anticorpi presenti nel siero correlano con la protezione dalla reinfezione le cosiddette “patenti di immunità” non avranno alcuna validità».
«Quando nel sangue si cercano gli anticorpi capaci di legare il virus, è necessario disporre di ‘pezzi’ (proteine) del virus stesso che ne permettano l’individuazione in modo accurato. Abbiamo prodotto questi ‘pezzi’ in modo assolutamente identico a come verrebbero prodotte dalle cellule infettate dal virus e, conseguentemente, garantendo la massima affidabilità del test» – dichiara Federico Forneris del Laboratorio Armenise-Harvard, Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università di Pavia – «Già oggi siamo in grado di produrre su larga scala i reagenti necessari per poter effettuare centinaia di migliaia di test in poco tempo e con costi contenuti, ovviando alla scarsità di reagenti di cui spesso abbiamo sentito parlare nelle scorse settimane. Abbiamo capitalizzato su tecnologie di produzione di proteine sviluppate negli anni precedenti e difficilmente disponibili in contesti diversi dalla ricerca specialistica di base. La disponibilità di reagenti in magazzino prima del lockdown ci ha permesso di essere immediatamente operativi di continuare a produrre queste proteine per i prossimi mesi».
È proprio partendo dalle proteine glicosilate del virus SARS-CoV-2 è stato messo a punto il test che valuta in maniera quantitativa il titolo degli anticorpi circolanti nel sangue. L’adesione dei quarantotto laboratori al progetto fa seguito all’appello lanciato al Governo e alle Regioni da un gruppo di 290 scienziati il 26 marzo scorso, affinchè venissero aumentati i tamponi virali e introdotti i test sierologici.
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